Il timoniere della Savino Del Bene
«Ho creduto nell’utopia comunista Così ho creato l’impero della logistica»
Giampaolo Marchini
SCANDICCI (Firenze)
Il CENTRO di comando è un ufficio essenziale, funzionale alla direzione di un vero e proprio impero: quello del trasporto internazionale che copre davvero tutte le destinazioni. Già, perché il cuore pulsante della Savino Del Bene è a Scandicci, a due passi dall’uscita della superstrada per Livorno. Ma la finestra della stanza occupata da Paolo Nocentini, l’uomo che dal 1977 guida l’azienda, si affaccia sul mondo. Non per niente, alle sue spalle, oltre a una foto con gli amici di una vita, c’è in bella vista un atlante, appoggiato su di un leggio. Un modo per ricordare che da quella stanza il gruppo fiorentino (la prima sede agli inizi del ‘900 era in via Porta Rossa a Firenze, poi in via delle Terme fino al 1985) si è imposto come uno degli operatori logistici che può sedersi al tavolo delle grandi multinazionali – Dhl, K&N, Schenker o le aziende asiatiche – e avere voce in capitolo come un colosso globale delle spedizioni. A 77 anni, Nocentini non ha nessuna intenzione di smettere. Anzi.
«È IL MIO vecchio spirito comunista che torna fuori. Questione di senso di responsabilità – spiega – verso chi lavora e ha contribuito a rendere sempre più solida questa azienda. Azienda che non può essere solo il patrimonio di chi è proprietario, ma una risorsa per chi ci lavora e per il territorio dove si lavora, che sia in Italia o all’estero. E poi penso che la Savino Del Bene sia comunque una risorsa per il Paese».
Non un pensiero da sottovalutare, soprattutto se a pronunciarlo è un capitano di industria che non ha mai nascosto le sue estrazioni comuniste. «Da giovane avevo la tessera del partito – conferma – e i classici del marxismo li ho letti tutti, anche se con ‘Il Capitale’ non sono andato molto avanti (sorride, ndr). Credevo nell’utopia comunista andando in contrasto con mio padre, ma anche se quell’utopia non si è realizzata mi ha aiutato in tutto quello che ho fatto». Da qui il rispetto per i lavoratori. Non è facile sentirlo dire da chi è partito dal centralino dell’azienda per scalare tutto le posizioni fino ad arrivare al controllo, con la valida spalla di quattro amici.
«SONO 61 anni che sono in questa azienda – prosegue Nocentini – e conosco ogni suo pregio e ogni difetto, e lavoro per migliorare entrambi. I cambiamenti sono stati notevoli e anche io non sono certo quello di allora. Pur non mi riconoscendomi grandi errori, sono diventato meno intransigente nel corso degli anni. Si cambia nella vita, si cambia fisicamente e pure il nostro software si trasforma: da comunista sono diventato liberal progressista. I tempi lo impongono. Come hanno imposto grandi cambiamenti nel nostro lavoro».
CAMBIAMENTI che non hanno certo impedito di raggiungere livelli di eccellenza vera e propria. Due numeri per dare l’esatta dimensione di quello che è diventata la Savino Del Bene. Il gruppo ha chiuso il 2017 con un incremento del fatturato del 23% (oltre un miliardo e mezzo di euro), mentre i dipendenti sono oltre 4mila di cui 1.300 italiani, dislocati nelle varie sedi operative. Uffici che sono 270, presenti in tutto il mondo.
«Come dicevo – attacca – tutto si è trasformato. Prima il lavoro andavo a piedi, considerato che abitavo a Firenze. E la sede era in centro. Ora la tecnologia ci permette di dare risposte a tutti i mercati con soluzioni combinate di diversi sistemi di trasporto». Nei primi mesi di quest’anno, sono stati aperti anche altri quattro uffici operativi negli Stati Uniti: Cincinnati, Phoenix, Nashville e Filadelfia, oltre ad aver acquisito uno spedizioniere di punta a Kansas City. Con questi sono esattamente 19 le sedi americane, che sottolineano come l’espansione del gruppo sia ancora in atto e indicativa di uno sguardo sempre più mirato alle Americhe. La tentazione di riprovare l’avventura in Borsa è sempre viva, ma dopo le esperienze del 2013-2014 è rimandata. Ma lo spirito di crescita è la politica dei piccoli passi, dopo lo sforzo economico del 2015, per la scomparsa del socio storico, Silvano Brandani che deteneva il 50 per centro. Da quel momento Nocentini è diventato titolare della maggioranza, sostenuto in questa operazione dal colosso Msc che ha il 23% delle quote.
LE SUE PASSIONI? La pallavolo e la sua macchina. La prima gli è entrata nel sangue con il passare degli anni e sogna di riportare a Scandicci uno scudetto che nella femminile manca dal 1973, quando la Valdagnane vinse tre di fila. La seconda è tutta raccolta in una Tesla: auto americana a trazione interamente elettrica dove la tecnologia la fa padrona. No, le super vetture non gli sono mai piaciute, perché è sempre meglio essere che apparire. Altrimenti che comunista sarebbe. Eppure la storia di Paolo Nocentini è quella di un imprenditore di successo che si è fatto da solo, inseguendo il suo sogno, come direbbero negli States. O le utopie, come invece sostiene il centralinista di 16 anni diventato, amministratore delegato nel ’77 e poi presidente di un’azienda globale con un imperativo: «Non cedere mai a un gruppo straniero, nel caso dovessi rendermi conto di non avere più la forza di continuare».
Non lo dice, per sembrare il classico papà italiano, ma è chiaro che vorrebbe che fosse suo figlio a prendere il timone perché saprebbe cosa c’è alla base del successo della Savino Del Bene.
La Nazione